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La fondazione del palazzo

L'origine risale alla prima metà del XVI secolo

quando la famiglia già possedeva un’area “dove stava la fortezza diruta”, e cioè nel quartiere del Cassero e nella parrocchia del Duomo, nel punto più alto della città, il colle Gomero.

Originariamente "aromatari"

La famiglia Fiorenzi godeva di un elevato prestigio sociale fin dal XIII secolo,

confermato e accresciuto nel XVI da Anton Giacomo e da suo figlio Teodosio, avviato sin dai primi anni della sua vita a una brillante carriera ecclesiastica, prima in Osimo e poi a Roma.

Teodosio nacque a Osimo nel 1535, ma visse lungamente a Roma, come avevano fatto alcuni dei suoi familiari nei secoli precedenti e successivi; già nel 1553 faceva parte delle alte sfere del clero romano al servizio del Vescovo di Acqui, Bonaventura Pio Costacciano.

Nel 1561 fu nominato da papa Pio IV canonico della Cattedrale di Osimo. Il successore, papa Pio V, al secolo Antonio Michele Ghislieri (1504/1572) eletto al soglio pontificio nel 1566, lo nominò suo cameriere segreto con funzioni di ministro dei memoriali e deputato alla gestione degli scambi epistolari con i regnanti del tempo: incarico di ‘segretario particolare’ – come lo definiremmo ora – che Teodosio mantenne fino al 1572, anno della morte del pontefice.

In considerazione della posizione prestigiosa ricoperta da Teodosio a Roma, nel 1569 il Comune di Osimo donò alla famiglia Fiorenzi appezzamenti di terreno a Montecerno, sulla via per Offagna; poco dopo, sempre nello stesso anno, Teodosio ottenne da papa Pio V un ‘motu proprio’ che istituiva la Contea di Montecerno e conferiva il titolo di Conte in perpetuo a lui e ai suoi familiari.

Nel 1571, dopo che Antonio ebbe avviato i lavori di restauro della chiesa di Santa Maria, già esistente su quel colle, accanto ai ruderi di un antico castello, il papa gliene concesse il giuspatronato, con l’impegno di mantenerla, accrescerla e preservarla. Così sui ruderi crebbe l’Abazia di Castel Baldo e il conte Fiorenzi fu nominato dal papa patrono dell’abazia, con il privilegio di nomina dell’abate che sarebbe succeduto alla sua morte.

Il successivo papa Sisto V, al secolo Felice Peretti (1521/1590, eletto al soglio pontificio nel 1585, volle che Teodosio diventasse il precettore del suo amato pronipote Alessandro, nominato dal papa stesso nel 1585, a soli 14 anni, Cardinale di Montalto.

Evidentemente in tutti quegli anni monsignor Teodosio si era conquistato la totale fiducia del papa per le sue indiscusse qualità morali e per l’incondizionato spirito di servizio sacerdotale, tanto che nel 1588, alla morte del vescovo Francesco Fermani, fu nominato vescovo di Osimo da Sisto V.

 

Egli non tornò subito nella sua città natale nonostante fosse entrato in possesso del palazzo di famiglia in Piazza Duomo fino dal 1578. Glielo aveva donato suo padre insieme con il mobilio, i vari edifici adibiti a magazzini e le aree esterne che ne completavano l’intera proprietà: un cortile (così è definito dai documenti) di fronte all’edificio, circondato da un alto muro di cinta, ottenuto dal Comune nel 1568, e i cosiddetti “orti Fiorenzi”, concessi in affitto perpetuo alla famiglia dal Capitolo della Cattedrale, compresi tra il muro del cortile del palazzo e le mura cittadine di tramontana. Qui esisteva un edificio con funzioni di stalla e di deposito delle carrozze, abbellito da una limonaia e da spazi di delizia e da un’uccelliera (descrizione e disegno per un progetto di ampliamento, mai realizzato, contenuto nel Tomo XIX, cl. 2°, Archivio Fiorenzi).

Negli anni 1567-1568 Elisa, Palmiero e Cesarina Jannicoli vendono ad Antonio (Anton Giacomo, N.d.R.) Fiorenzi numerose case al Domo’; è probabile che dall’epoca dell’acquisto alla realizzazione del palazzo fossero passati pochi anni e che quando Teodosio lo ricevette in dono dal padre, dieci anni prima di diventare Vescovo, questo fosse già stato interamente costruito nelle strutture principali, ad esclusione probabilmente della facciata e degli apparati decorativi dell’androne.

La costruzione del palazzo ha riguardato anche la sistemazione morfologica della piazza: il livello del piano stradale fu abbassato al fine di creare un collegamento diretto e comodo tra la residenza patrizia e la Cattedrale, nell’ottica di una visione unitaria tra architettura e urbanistica.

È plausibile che il palazzo sia stato completato e rifinito prima dal Vescovo Teodosio e poi dal secondo conte Fiorenzi, Decio. Questi, nel 1590, fece realizzare ‘la sala al Domo per la nuova casa’ (Archivio Fiorenzi). Tutto fa pensare che la ‘sala’ sia da individuarsi nell’androne al piano terra, impreziosito da una fascia attica dipinta a riquadri con stemmi gentilizi, vescovili e papali, alternati con vedute di paesaggi circondati da motivi a grottesche. Il bel soffitto è a cassettoni, i cui lacunari, secondo quanto è possibile arguire da quel che resta della decorazione, erano tutti dipinti in blu cobalto con una stella dorata al centro, mentre le travature che li racchiudono e le mensole lignee che, poggiando sulle pareti, sostengono le travature stesse figurano tuttora dipinte con gli stessi motivi geometrici e floreali che incorniciano i riquadri della fascia attica già descritta: una corrispondenza elegante in un progetto attentamente pensato. A completare il tutto, un grande, isolato stemma di Sisto V appare in posizione eminente sulla parete di mezzogiorno, tra due finestroni alti che danno sulla via Gomero.

Sui lati dell’ingresso che conduce all’androne si aprono due grandi ambienti soffittati con volte a vela e decorate con stucchi di notevole interesse.

Dall’androne poi si accede direttamente al ‘piano nobile’, come lo definiscono i documenti antichi, attraverso una porta che si apre sulla parete prospiciente l’ingresso alla stessa sala; porta sormontata dal busto seicentesco di Teodosio Fiorenzi junior, terzo conte di Montecerno, inserito in una nicchia ovale ricavata nel muro. Questo appartamento nobile si sviluppa lungo l’asse longitudinale dell’edificio fino alla piazza Gramsci, già piazza Cavallerizza.

Successivi e importanti lavori di modifica strutturale furono apportati al palazzo nel XIX secolo in occasione della sua divisione ‘da cielo a terra’ in due proprietà distinte: quella prospiciente la Piazza Duomo e quella posteriore, sul Cassero.

Risale all’anno 1800 la grande scala a sette rampe, realizzata per raggiungere il primo e il secondo piano, in occasione del famoso matrimonio tra il conte Giovanni Fiorenzi e la contessa Aloisia ferretti di Ancona.

Nella parte posteriore dell’edificio, nell’antico piano nobile, fu realizzato un nuovo corridoio di disimpegno, con ambienti in ‘enfilade’. Questo corridoio insiste sopra un portico ad archi che si apre per due lati su un cortile interno, contenente un’antica cisterna.

Al di sotto di questo appartamento si trova un’ampia porzione delle antiche grotte scavate nell’arenaria che caratterizzano quasi tutto il sottosuolo del centro storico.

L'ingresso al palazzo

Ambienti soffittati con volte a vela e decorate con stucchi di notevole interesse.

Tutto l’edificio occupa un intero isolato ortogonale alla piazza, secondo l’asse est/ovest, ed è circondato da tre strade.

 A chi sale per la via che dalla piazza del Comune conduce alla Cattedrale (via Antica Rocca) il fronte principale si presenta come la quinta scenica di un teatro che ha la piazza per platea. L’ingresso principale, l’androne e il piano nobile originario sono infatti disposti in asse con lo spazio della piazza nella ricerca di un dialogo, attraverso il collegamento visivo, con il complesso del Duomo. Si percepisce la volontà del progettista di generare ammirazione e di sottolineare al contempo il legame tra la famiglia e la sede vescovile.

Il finto bugnato in stile rinascimentale caratterizza l’intera superficie della facciata principale: in corrispondenza del piano terra gli elementi sono stati plasmati in rilievo a due misure con i conci più spessi disposti nella parte centrale dove si apre l’ingresso ad arco sovrastato da tre stemmi in marmo: di papa Sisto V, della casata Fiorenzi e di papa Pio V. In corrispondenza del primo piano e del secondo piano, invece, i conci sono piatti.

Cinque aperture per piano con le loro ampie cornici dalla modanatura importante, scandiscono in maniera regolare lo spazio. I timpani sono fortemente aggettanti con profili circolari alternati a quelli triangolari, sia in senso orizzontale che in senso verticale, con il risultato di una insolita, chiasmatica scansione ad X. Al di sopra del piano nobile le aperture quadrate sono ingentilite da paramenti laterali in cui elementi geometrici si alternano a cartigli, mentre i timpani alternano volute a segmenti spezzati.

Lesene angolari enfatizzate da conci sagomati sorreggono la trabeazione caratterizzata dalla scalettatura ben disegnata a chiudere il disegno della facciata. 

Grazie alle conoscenze in ambito romano è facile pensare che per completare la loro residenza i Fiorenzi abbiano chiamato a Osimo un architetto capace di progettare la facciata secondo un disegno allo stesso tempo aggiornato e consono alla carica e al prestigio della famiglia.

I tanti elementi architettonici, sia pure affastellati in uno spazio relativamente ridotto, disegnano una facciata dalle citazioni colte e preziose che identificano palazzo Fiorenzi come un esempio di ricercatezza formale e scenografica nell’ambito dell’architettura del XVI secolo a Osimo.

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